“Non sai quanto sono contenta di rivederti, carina!” disse la Duchessa, prendendo affettuosamente Alice sottobraccio e avviandosi con lei.
Alice fu molto contenta di trovarla così di buonumore, e pensò che forse se era stata tanto intrattabile al loro primo incontro, in cucina, la colpa era solo del pepe. “Quando sarò Duchessa” si disse (ma senza troppe speranze), “non permetterò che ci sia neanche un granello di pepe nella mia cucina. La minestra è buonissima anche senza…Forse è sempre il pepe che accalora la gente” proseguì, tutta contenta della nuova legge che aveva scoperto, “e l’aceto la rende acida…e la camomilla amara…e lo zucchero d’orzo e cose del genere danno ai bambini un carattere dolce. Peccato che la gente non se ne renda conto, altrimenti avrebbe la manica larga…”
Noi genitori siamo un po’ dei “cuochi di famiglia”, abbiamo una brigata da gestire e coordinare, verificare che ci siano ingredienti sani nella relazione con i figli per creare un clima caldo e sicuro che dia sfogo alla creatività e permetta di realizzare dei bei piatti di portata, fatti di progetti, viaggi insieme, serena quotidianità, momenti di relax .
Essere dei bravi “cuochi di famiglia” porta con se uno stress a volte elevato soprattutto se abbiamo paura di sbagliare, di vedere il piatto poco riuscito. Siamo capi cuochi, è vero, ma oltre alla responsabilità e alla gestione abbiamo il ruolo di motivare la brigata e nella brigata di famiglia ci siamo anche noi, perciò non dimentichiamo di “incoraggiarci”. Se il piatto non riesce possiamo fermarci e ricordare che è solo un piatto non riuscito, senza farci prendere dall’ansia da prestazione di un Executive Chef. Un piatto insipido o bruciacchiato non manda a monte un ristorante, al massimo otteniamo una brutta recensione dalla quale ripartire cercando di capire quale possa essere il problema:
- Un menu troppo articolato: in questo momento stiamo chiedendo troppo alla brigata o a noi stessi come cuochi?
- Troppo pepe in tutti i piatti “accalora la gente”: un tono carico di irritabilità può rischiare di diventare tossico per l’equilibrio intestinale e, di conseguenza, quello familiare.
- “…e l’aceto la rende acida”: critica e giudizio in eccesso abbassa l’autostima e l’ancoraggio su se stessi
- “…e la camomilla amara”: L’amarezza è una sensazione complessa, include diverse emozioni che vanno dalla rabbia e dal risentimento alla tristezza con un pizzico di delusione e frustrazione. Quando siamo amareggiati scegliamo di vedere il mondo con una lente negativa e pessimista.
- I nostri piatti necessitano di più dolcezza o gentilezza: senza voler essere dei perfetti pasticcieri, quelli che hanno bisogno di tanta precisione e metodo, forse potrebbe aver senso tenere sempre a disposizione nella dispensa qualche caramella di zucchero d’orzo.
Ricordiamociche quando un piatto riesce male possiamo ripartire da una semplice ma nutriente minestra. La sua etimologia (derivazione di minestrare, dal latino ministrare = “servitore, aiutante) ci ricorda che siamo facilitatori, guide.
Allora ripartiamo dalle tecniche di base: il coraggio di “mettere le mani in pasta”, scegliere di servire con la migliore intenzione, assaggiare il piatto in modo consapevole.
Pensare di portare sulla tavola una gustosa minestra può indicare che siamo degli ottimi chef? No, semplicemente siamo noi i genitori, non possiamo staccarci da quel ruolo e facciamo del nostro meglio alimentando la fiducia che abbiamo nell’amore verso i commensali, i nostri figli.
Quando siamo più consapevoli e fiduciosi aumenta la creatività. Quindi la consapevolezza è l’ingrediente per il quale possiamo essere di manica larga con i nostri figli? Beh, il suo eccesso non sembra possa portare nessuna tossicità.
INTENZIONE:
- Noto quale ingrediente uso spesso nella relazione con mio figlio in questo momento
- Scelgo un ingrediente che ho usato poco e decido come essere di manica più larga
- Porto in tavola qualche caramella d’orzo in più per dare dolcezza alla relazione (una parola gentile, un gesto delicato, un incoraggiamento)
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